Domenica. Casa Piselloni, ore 20.30.
Le due piccole pesti barra terremoti ambulanti
barra unni inferociti, in pieno delirio post cena o pre nanna giocano a
rincorrersi intorno al tavolo. La mamma è seduta sul divano a guardare, lei,
l’odiosa peppa maiala, lamentando la totale assenza di alcun programma Tv
minimamente interessante in prima serata e contando i minuti che mancavano alla
messa a letto delle bestie. Il papà si sta preparando la cartella per il giorno
dopo.
SBANGSBATANGSBADAMSBONGBAM.
E che cazz… Ma che è sto cas…. Checco per la mis…
Oh mio dio. Checco si rialza da terra con le dita
sporche di sangue. Uno sguardo al suo visino e tutto si fa chiaro: un bel
taglio sul mento, uno di quelli che il cerotto non basta.
Un urlo per chiamare il papà. Un nanosecondo per
decidere la puntata in pronto soccorso. Un minuto per infilarci, tutti e
quattro, scarpe e giacca e si parte. Tappa dai nonni paterni per lasciare il
Paio e su in ospedale.
Ora, non sono un’esperta di anatomia ma presumo
che nella zona del mento passino pochi vasi sanguigni e poche terminazioni
nervose. Il sangue uscito ha appena macchiato un lembo di fazzoletto e Checco
non si è mai lamentato per il dolore. Fortuna nella sfortuna, dicono.
Ovviamente la sala d’attesa del pronto soccorso è
piena di gente. I bambini hanno la precedenza, ci rassicurano. Solo che se
continuano ad arrivare ambulanze la precedenza va, giustamente, a loro e tu,
con il tuo codice verde, finisci in coda. Che poi, grande minchiata questa cosa
dei colori. Voglio dire, se i bambini hanno la precedenza facciamo che ai
bambini date il giallo, così sono legittimati a passare per primi. E’ inutile
che mi date il verde tanto quanto gli altri, ed il numerino tanto quanto gli
altri e poi mi fate passare prima di tutti gli altri. Perché se io fossi stata
quella povera ragazza che si era chiusa il dito nella portiera della macchina e
si era letteralmente scorticata l’unghia, se dopo quasi quattro ore che aspetto
mi passa davanti un bambino “codice verde” arrivato due ore dopo di me…beh un po’
mi sarebbero girate le palle, e a ragione. Qualcuno mi potrebbe far notare che
a predicar bene sono capaci tutti e che io per prima avrei dovuto cederle il
nostro posto. Anche no, rispondo io, visto che a star male era mio figlio e che
quando si sta male vale il detto ognuno
per sé e dio per tutti. Chiusa la parentesi.
Comunque. Le nostre due orette in sala d’attesa
non ce le toglie nessuno. Checco si beve praticamente tutta l’acqua della
tanica dichiarando che in ospedale l’acqua è deliziosa. Si distrae con un
reportage fotografico sul raddrizzamento della Concordia. Io rimpiango di non
avere in borsa, come spesso succede, un libro da leggere. MaschioAlfa trova
qualcuno con cui conversare. Mando un sms a mio padre e dopo dieci minuti mi
vedo arrivare lui, mia madre e mia zia e fatico le mie sette camicie per
convincerli ad andare a casa. Verso le undici ci fanno finalmente entrare in
ambulatorio. Risulta subito chiaro anche ai medici che ci vogliono dei punti.
Il mio ometto non batte ciglio; sdraiato sul lettino osserva incuriosito gli
strani strumenti disposti sul carrello, il liquido marrone che imparerà essere
un disinfettante, la siringa con l’anestesia, l’ago e il filo. Ed eccolo qui,
dopo il ricamino:
Quando ritorniamo in sala d’attesa realizziamo
che, per fortuna, la ragazza con l’unghia scorticata era stata chiamata.
Passiamo a riprendere il Paio da mia suocera la
quale suocera, nel frattempo aveva acceso tutti i lumini che aveva in casa e
recitato tutte le preghiere di sua conoscenza. Ed era solo un taglietto.
Torniamo a casa, i bambini crollano in macchina,
mamma e papà non hanno il minimo accenno di sonno, nonostante sia passata la
mezzanotte. Ci facciamo un bicchiere di coca rum e ci mettiamo a far zapping.
Alla fine siamo rimasti svegli fino all’una e mezza a guardare un film con
Richard Gere.
La mattina dopo abbiamo tutti un sonno della
madonna…