La mia vita con un po' troppo testosterone per casa...
Ho modificato la grafica del blog. Quella sullo sfondo è l'incasinatissima libreria di casa Piselloni...
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lunedì 4 giugno 2012

Indietro nel tempo: la nascita di Checco



4 giugno, giovedì.
Mi sveglio dopo una nottata un tantino agitata, vado in bagno, faccio pipì e… oddio e questo cos’è…non sarà mica….oh mio dio….la carta igienica è leggermente striata di rosa.
Ok, forse forse ci siamo.
Torno in bagno dopo un paio d’ore ed eccolo lì, ancora rosa sulla carta igienica, anzi più rosso che rosa. Mi metto un assorbente.
E così, improvvisamente, mi accorgo delle contrazioni, sono molto leggere, assolutamente indolori, ma ci sono e cominciano ad essere regolari.
Decisamente ci siamo.
Mi faccio la doccia, mi lavo i capelli. Le contrazioni continuano.
Verso le due MaschioAlfa torna a casa. Gli apro la porta con un sorriso inequivocabile, lo stesso sorriso che avevo quando gli avevo annunciato il test positivo.
Quindi, alle cinque, dopo aver trovato anche il tempo di farci una foto scema seduti sul divano, carichiamo la famigerata valigia in macchina e partiamo alla volta dell’ospedale.
Il sole è andato via, forse arriva un temporale.
Saliamo al terzo piano, ostetricia, suono il campanello della sala parto. Esce un’ostetrica, le racconto tutto e mi fa accomodare in sala monitoraggi. Mi attaccano questi aggeggi alla pancia e aspetto. Il tempo passa, mi annoio, MaschioAlfa è fuori in sala d’attesa e non lo lasciano entrare.
Arriva un ginecologo, noto subito quanto sia carino, e mi visita. MaschioAlfa mi raggiunge. Il verdetto è questo: sei a tre centimetri, è ancora presto, se vuoi ti ricoveriamo, ma solo se prometti che non ti agiti e stai tranquilla, mettiti in testa che prima di domani mattina questo non nasce. Va bene, dico io, ricoveratemi. Non ci penso nemmeno a tornare a casa senza bambino!
Mi sembra di vivere una specie di sogno, di viaggio onirico in un’altra dimensione, come se guardassi il susseguirsi degli eventi sullo schermo del cinema. Sono proprio io, che solo ieri affrontavo intimorita la prima elementare, col grembiulino nero, il colletto bianco e il fiocco rosa, che solo ieri prendevo l’autobus tutte le mattine per andare a scuola, che ho giocato con la Barbie fino alla prima superiore, che solo un attimo fa ero vestita di bianco davanti all’altare in un piovoso sabato di luglio, che ogni tanto prendevo la bambola e la cullavo come fosse un bambino vero, sono sempre io. E adesso sono qui in ospedale e sto per dare alla luce il mio primo figlio.
Fuori è sempre più buio. Sta decisamente arrivando un temporale.
MaschioAlfa va a prendere la valigia in macchina.
Ritorna l’ostetrica, ancora monitoraggi. Nel frattempo le contrazioni iniziano a farsi anche un po’ dolorose.  Sono le nove di sera.
Aspettiamo. Un’ostetrica mi visita. Si chiama Enrica, è molto carina e simpatica. Mi dice non sei ancora pronta, ma aspetta, voglio visitarti nel momento della contrazione. La contrazione arriva, mi visita. La guardo, è presto, vero? No, dice lei, ti ho detto una bugia, sei a otto centimetri, ti porto in sala parto, a volte i miracoli accadono (giuro che l’ha detto…).
Sono in trance. Raggiungiamo questa benedetta sala parto.
Sono le dieci di sera. Sono tranquilla, anche se le contrazioni sono sempre più forti. mi siedo in poltrona. Mi attaccano di nuovo all’aggeggio del monitoraggio. Le contrazioni sono decisamente sempre più forti.
Fuori c’è il temporale. E’ arrivato. Lo sapevo che avrei partorito con la pioggia…
Sono le undici. Adesso fa veramente ma veramente male. Non ce la posso fare. Mi fanno sdraiare sul letto, le gambe in aria. La mia ostetrica si chiama Paola, è magrissima e molto chiacchierona, troppo. Mi parla di Parigi, credo, ma chi se ne frega di Parigi.
Fa male. Mi fa male dappertutto, soprattutto la schiena. Ogni contrazione è un incubo. Lentamente, inesorabilmente, inizio a perdere il controllo del mio corpo. Mi dicono di spingere, ma io non ci riesco, riesco solo a percepire il dolore. Urlo. Urlo come non pensavo fosse possibile. Urlo anche se ero sicura che non l’avrei fatto che mi sarei vergognata da morire. E invece me ne sbatto altamente, io urlo. Che si fottano tutti, l’ostetrica anoressica, il ginecologo antipatico, il corso preparto e la sua respirazione del cazzo.
Tutto è confuso.
Arriva la mezzanotte. E’ il 5 giugno, venerdì. Penso, ecco non nasce il quattro, sei in ritardo piccolo mio. Vaffanculo.
Si rompono le acque. Le ostetriche puliscono, cambiano il telo. Che coglioni.
Mi dicono che si vede la testa, un testa piena di capelli neri. Sti cazzi.
Urlo. Imploro il cesareo.
E poi.
E poi all’improvviso, giuro che non so come ho fatto, Lui viene fuori da me, lo sento sgusciare via. Lo sento piangere. Sono le 00.45.
La prima cosa che penso è Gesummiotiringrazioètuttofinito.
Poi riprendo il controllo. Sono di nuovo io e lo guardo: è bellissimo. E’ Francesco.
Lo vedo nella culla termica mentre lo puliscono (Apgar 9/10, bravissimo cucciolo), poi me lo mettono al seno. Quello che penso è:
  • Mannaggia è davvero bellissimo;
  • Cavoli, sono stata brava, ho partorito;
  • La prossima volta cesareo.
Quello che non penso è: oddio, sento una cosa che mi travolge tutta, deve essere l’istinto materno che emerge, oddio sei la mia ragione di vita, adesso esisti solo tu, mi annullerò per te, tieni, comincia a prendere la mia tetta.
Scherzi a parte, in quei primi istanti dopo il parto non sono riuscita a pensare che quell’esserino fosse mio figlio, fosse la stessa creatura che scalciava dentro la mia pancia fino a poche ore prima. L’istinto materno arriva, ma un po’ alla volta, nutrito giorno dopo giorno da ogni bacio, ogni carezza, ogni poppata, ogni cambio di pannolino, ogni minuscolo sorriso.
Mentre mi ricuciscono danno Francesco ad A. che si siede sulla poltrona con questo fagottino in braccio.  Eccoli lì i miei amori…
Finito il taglia e cuci mi sistemano in corridoio, con un telo in mezzo alle gambe. Mi trovo a pensare che finalmente riesco a stare sdraiata a pancia in su…
Dopo un po’ arriva A., mentre è lì con me chiama i nonni. Siamo così emozionati, tutti e due… Credo di non averlo mai amato così tanto come in quei momenti.
E poi ci portano Francesco, lavato e vestito, avvolto in una copertina. Me lo attaccano al seno e stiamo così per un bel po’, noi tre, una famiglia. Sono davvero felice, anzi di più, felice all’ennesima potenza.
Dopo un’oretta vengono a riprendersi Francesco e mi riportano in camera, insieme ad A. Sono quasi le tre di notte. E’ tutto buio, silenzio. Nessuno cammina per i corridoi, nessuno parla. Buio, silenzio. Solo il vagito di un bimbo, ogni tanto. Non piove più. Ed io sono lì, nella stanza M, con mio marito, mentre nostro figlio dorme al nido pochi metri più in là. E’ tutto meraviglioso, è tutto così perfetto.
E’ l’inizio di una nuova vita.

A tre anni di distanza, rivivendo con distacco quei travolgenti momenti, mi sorge spontanea una riflessione. Anzi, dovrei dire mi scaturiscono spontanei alcuni vaffanculo.

  1. Vaffanculo a chi ha detto che il dolore del parto è simile all’orgasmo: egregio signore (perché di maschio trattasi, non ci sono dubbi), io non so come sono i suoi orgasmi, ma i miei non ti spezzano le pelvi e la schiena.
  2. vaffanculo al parto naturale, ai cd con i suoni dei delfini, alla stanza dipinta di blu di prussia, alle candele al gelsomino, alla sala parto arredata secondo i dettami del feng shui: mai boiate più mastodontiche. Fa un male cane sia su un letto di ospedale sia su un’amaca di bambù. E chi se ne fotte del colore delle pareti.
  3. vaffanculo al ginecologo (ovviamente maschio anch’egli) che ti rimprovera perché ti lamenti mentre ti ricucisce: razza di testa di mischia, permetterai che, dopo aver fatto passare un neonato di 3 chili, là sotto siamo un tantino ipersensibili? Permetterai che dopo ore di travaglio siamo abbastanza stufe di sentirci ravanare la Iolanda?
  4. vaffanculo alla ostetrica del corso preparto che ci faceva fare le visualizzazioni, degli esercizi imbecilli in cui chiudevamo gli occhi e ci immaginavamo di correre in un campo di margherite col vento che ci scompiglia i capelli: nemmeno mi fossi fatta una canna prima di entrare in sala parto mi sarebbe servito a qualcosa.
  5. vaffanculo alla frase: E’ un dolore che si dimentica. Sti cazzissimi. Passa, non ci si pensa, ma Non. Si. Dimentica. Mai. Più. Cazzo.

2 commenti:

  1. Leggo sempre con piacere i racconti dei parti e concordo in pieno con i tuoi vaffanculo. se permetti, ne aggiungo uno: vaffancuno alle ostetriche che ti dicono "lascialo andare, lui sa la strada"! Ti assicuro, cara ostetrica, che l'ultima cosa che vuole una mamma con le contrazioni è tenersi il bambino dentro la pancia. Ma non le insegnano mica queste cose alle ostetriche?

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  2. E' verissimo! E poi vorrei vederle loro a partorire...

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